La recente risoluzione della Commissione dell’Unesco “Programm and External Relations” sulla "tutela del patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est" ha suscitato molte giuste prese di distanza e opposizioni. Il punto che appare più controverso è la negazione di un dato storico incontrovertibile. Il testo nomina un luogo cruciale di Gerusalemme, per gli ebrei e per i musulmani, ma solo con il nome arabo Haram el Sharif (il Nobile santuario) eliminando quello usato dagli ebrei, Har ha- Bayit ("Monte del tempio") o Har Ha-miqdash (“Monte del Santo”). Molti pellegrini cristiani conoscono questi luoghi che visitano con grande rispetto. Si possono ammirare le antiche mura del tempio erodiano, vedere tanti ebrei pregare davanti al “muro del pianto”, visitare i luoghi di preghiera cari all’Islam. Che il tempio salomonico, distrutto dai babilonesi nel 586, e poi ricostruito nel dopo esilio ai tempi del profeta Aggeo, infine abbellito da Erode il Grande, e definitivamente distrutto dai Romani nel 70 dopo Cristo, sia stato costruito in quel luogo di Gerusalemme è un fatto storico incontrovertibile e di cui il nome mantiene non solo la memoria religiosa, ma anche quella storica e archeologica. Ora che un organismo culturale come l’UNESCO neghi sostanzialmente questo fatto è una grave mancanza culturale, al di là delle questioni di carattere religioso o politico che la dichiarazione può implicare. E’ preoccupante che venga adottata una simile risoluzione in un frangente storico così delicato, mentre le religioni sono chiamate a confrontarsi pacificamente e a dialogare. Abbiamo bisogno di gesti e parole di distensione, che uniscano e non dividano ulteriormente un mondo già diviso dai conflitti e minacciato dal terrorismo, che provocano così tanto male e tanta morte. Ebrei, cristiani e musulmani hanno oggi la responsabilità di condividere i luoghi così santi di Gerusalemme, perché siano portatori di pace per il mondo intero. Se Gerusalemme resta “città della pace”, rendiamola tale con l’incontro e il dialogo, al di là delle pur legittime rivendicazioni di ognuno.
Ambrogio Spreafico, Presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI